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ASSOCIAZIONE SPORTIVA "LE TRE PUNTE"



ARTICOLI

A cura di Giuseppe Massari

IL MARE DEI BASTIONI

(Racconto)

Seduto su i bastioni di ruvido tufo che delimitavano l’antica cittadella fortificata,  di fronte ad un  mare scintillante, ammiravo quel pezzo di Spagna trasportato in Sardegna.
 Avevo trovato subito la via per quella casa, affittata per telefono, camminando volentieri all’ombra di quegli antichi edifici e la “Barcelloneta” era così distante dall’ambiente della “costa smeralda”.ma con un fascino speciale.
“ L’alguer” era in piena  espansione e gli orribili edifici moderni, edificati con una scellerata varietà di tipologie e stili, nascevano come funghi.  I cantieri prendevano il posto dei secolari uliveti a ritmo inarrestabile  grazie alla richiesta di immobili portata da un turismo autoctono e  dal vicino aeroporto di Fertilia che, per diversi mesi all’anno, vedeva avvicendarsi orde di cosmopoliti vacanzieri attirati dalle lunghe spiagge ,dalle bellezze naturali   e dalla presenza di quel nucleo antico così caratteristico con i negozi di oggetti di corallo e i ristoranti nascosti in un dedalo di   viuzze in aciotolato. 
Erano i primi  anni 80 e il centro storico di quell’avamposto catalano in Sardegna  non aveva subito radicali cambiamenti da centinaia d’anni.  Vi insistevano ancora edifici datati dal 1200 ai primi del secolo passato, il tutto con un fascino decadente come lo stato delle murature della maggior parte di quelle costruzioni che cominciavano, proprio in quel periodo, ad essere oggetto di attenzione da parte di qualche investitore.  A differenza di oggi, niente brillava, in quel periodo, per pulizia e bontà dell’ umana frequentazione e si capiva subito che alcole droga  e piccola delinquenza qui erano di casa e cosa spingesse la maggior parte dei  residenti a cercarsi un’altra, più decorosa, sistemazione nei nuovi edifici, all’esterno delle mura, era di facile intuizione.
Il giorno stesso non seppi resistere alla tentazione e, appena preso possesso della casa, la prima cosa che feci, nel pomeriggio, fu di infilarmi la muta, prendere maschera pinne e fucile ed avviarmi alla vicina  scaletta che scendeva, dai bastioni della cittadella, direttamente al mare . Un po’ di onda batteva sugli scogli e l’acqua,  leggermente torbida, abbassava la visibilità nello strato superficiale,
 Non aveva ancora caricato l’arma  che una grossa orata mi era sfilata davanti al limite del tiro . peccato!!  Il fondale era composto da lingue di roccia e formazioni tufacee ricche di nascondigli circondate da tratti  sabbiosi.  I pesci c’erano ,eccome, saraghi corpulenti entravano e uscivano dalle tane  qualche orata intenta a nutrirsi, sulla scogliera sommersa, lasciava, di malavoglia, la sua occupazione per andarsene senza troppa convinzione e fretta ; Sulla sabbia branchetti di mormore, taglia extra large, grufolavano di buona lena .  Il pesce era abbastanza tranquillo ma teneva le distanze di sicurezza, segno evidente del costante passaggio di subacquei armati . Le due ore di su e giù tra le lastre di tufo, con l’aiuto della torcia subacquea per illuminare gli spacchi in profondità, mi avevano già fruttato 5 saragoni, tutti vicini al chilo di peso, quando, rasentando il fondo seguendo  una lingua di roccia  che si dirigeva verso il largo,  sfilai di fianco a un’apertura passante quasi perfettamente circolare . Quello che, quasi per caso al  passaggio,  percepii all’interno , mi portò istintivamente a compiere un movimento innaturale ma estremamente veloce ed efficace essendo il braccio già molto vicino al bersaglio;   Senza cambiare l’ asse del  corpo, rispetto alla roccia, ruotai il polso verso l’interno facendo compiere all’ arto  una torsione rovesciando e girando  il fucile.  Il colpo partì,ad arma sottosopra  in posizione impossibil,e  l’ombra che ,intuito il pericolo,  aveva già iniziando la fuga per dileguarsi, uscendo dalla parte opposta del budello,   cominciò a sbattere trattenuta dalla sagola dell’asta che aveva fatto centro .   Per l’emozione il fiato mi mancò di colpo e, per non rischiare di strappare la preda, lasciai  il fucile che, istantaneamente, vidi  uscire a traino di un pesce, non identificato,  dall’altra apertura.
 Dalla superficie vidi pesce, asta e fucile sparire, in lontananza,  come magicamente inghiottiti da un pianoro sabbioso.
Imprecando dentro il boccaglio mi diressi velocemente verso il punto dove avevo visto dileguarsi il   pesce ferito .  Il luogo era in realtà il tetto, liscio,  di un immensa lastra piatta completamente insabbiata tranne il lato di terra da dove era entrato il pinnuto. Per accedervi una lunga e stretta fenditura era l’unica possibilità .   Fortunatamente l’esigua profondità mi faceva ben sperare  ma, affacciatomi all’imboccatura armato della potente torcia mi vennero le lacrime agli occhi;  Pesce e fucile erano spariti in un’antro basso e lungo impossibile da illuminare dal tanto era profondo.
  Non mi persi d’animo,  risalii in superficie ,rimanendovi immobile respirando lentamente stando sopra il mio obbiettivo, chiusi gli occhi per trovarmi nel buio della tana con le pupille dilatate allo scopo di vedere subito meglio , tre ampi respiri e un solo colpo di pinne mi portarono all’imboccatura .
 Rovesciato, pancia al soffitto e schiena sulla sabbia,  vi penetrai completamente. .
Con solo le pinne all’esterno e il braccio che teneva la torcia teso avevo guadagnato ben più di due metri e, ora, il fascio di luce stava illuminando il calcio del fucile, miracolosamente incastrato tra due escrescenze rocciose della volta, a pochi centimetri dalla mia mano ma l’angolo che formava il cunicolo non permetteva di vedere il pesce e ,soprattutto ,di valutare in che modo era stato colpito per organizzarne un sicuro recupero . 
Con l’aiuto delle mani cercai di rinculare per uscire dal budello ma qualcosa mi frenò;  L’ondata di panico, che stava per sopraffarmi ,venne ricacciata indietro a forza ed una imposta lucidità mi invase il cervello .   Forse il pezzo d’acciaio, all’apice del cavetto,  che avevo attaccato alla cintura dei pesi, utilizzato per uccidere e infilare la preda, o ,forse,  proprio le prede stesse, che trasportavo  posteriormente,  si erano  incastrate, chissà dove, sul fondo che sembrava tutto sabbioso e ora mi tenevano ancorato nel buio dello stretto cunicolo.
 Vent’anni anni erano troppo pochi per fare la fine del topo e  avevo altri progetti per la mia vita.
Con fatica  cercai  di raggiungere con la mano la fibbia della cintura della zavorra che si era spostata tutta di lato; Il movimentò ingigantì ,ancor di più, la fame d’aria che mi opprimeva ma ebbi successo e, liberatomi da piombi e  porta pesci  che mi tenevano imprigionato,  completai ,ormai quasi incosciente, il breve percorso verso la salvezza  ritrovandomi in superficie . Aria e sole mi riempirono polmoni e cervello e ,aiutato dalla mancanza dei piombi, rimasi disteso sulla superficie dell’acqua guardando in basso dove, sulla sabbia del fondale, i raggi dell’astro creavano saettanti giochi di luce . Cominciai a calmarmi riuscendo a controllare sempre più l’affannosa respirazione. Oggi aveva imparato una lezione importante .
Dieci minuti dopo ero di nuovo nel cunicolo ed estrassi, con facilità, la cintura non riuscendo  a capire dove diavolo ,prima, si fosse impigliata . Tornando a galla me la rimisi , questa volta, senza prede e portapesci,, abbandonati, per sicurezza momentaneamente, sul fondo e mi preparai a tentare il recupero del fucile con o senza preda .
 “Sono stanco ,due tentativi non di più , poi lascio perdere e tanti saluti”pensai ancora provato dall’esperienza di poco prima. La perfetta immersione mi portò a raggiungere l’arma incastrata; La sagola che tratteneva l’asta era tesa e  provai a fare forza, con moderazione, ma il pesce ,dietro alla quinta di roccia, non accennò a muoversi.
Nella seconda immersione tentai il tutto per tutto portare a casa, almeno,  il fucile e l’asta;  Mentre rinculavo lasciata la torcia penzolare, accesa, al polso e impressi, con il solo braccio destro, un movimento simile all’accensione manuale di un motore fuoribordo rischiando di fratturarmi il gomito se avessi, inavvertitamente, colpito qualcosa alle mie spalle .Miracolosamente, continuando ad arretrare aiutato dalla mano libera, venni seguito, oltre che dall’arma, anche dal peso del misterioso pesce perfettamente bloccato dalla fiocina penetrata, completamente, appena dietro le branchie.
La spigola, che avrebbe fatto segnare alla bilancia un peso di oltre 9 chili ,era anch’essa in agguato affacciata alla circolare apertura quando  incontrò  l’altro predatore che ora, uscito dall’acqua, stava, per il carico,  faticosamente percorrendo  le poche decine di metri che lo separavano da casa .

Ritornai, vent’anni dopo, su quella lastra ma non c’era più …insabbiata.  La bellezza dei bastioni  ristrutturati  non rispecchiavano, certo, la desolazione  che trovai sott’acqua .

RECCO 09

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